C’era una volta. Una volta c’era un allenatore romagnolo tifoso dell’Inter e successivamente monumento del calcio dei casciavit rossoneri, che faceva la cronaca delle partite di calcio locali, ad un amico non vedente. E c’era anche un giovane meccanico di Cusano Milanino che, da giocatore, aveva fermato Pelé sul campo e che con il suo Milan aveva vinto tutto. Campionato, Champions, nota allora semplicemente come Coppa dei Campioni, e la Coppa Intercontinentale.
Arrigo Sacchi, scoperta berlusconiana in terra parmigiana, era un tecnico ossessivo e perfezionista. Faceva allenare i suoi giocatori fino a sfinirli. Sul campo portava persino un megafono per incitarli a migliorarsi. Giovanni Trapattoni era noto per aver la consuetudine di essere svegliato, una volta allenatore juventino, quasi tutte le mattine da una telefonata dell’avvocato Gianni Agnelli; e per essere uno che, sul campo di gioco, da stopper milanista prima e da tecnico bianconero e poi nerazzurro, puntava prima di tutto a non prenderle. Ha vinto tutto con il contropiede, che oggi nella società 2.0 chiamiamo “ripartenze”. Negli anni 60 70, 80 e 90, il contropiede significava giocare per difendersi, ma vincendo alla fine con un rapido rovesciamento di campo in cui si sorprendeva l’avversario nell’unico momento in cui tirava il fiato. Gli si faceva goal, e poi si passava il resto della partita a difendere quel golletto con cui s’era passati in vantaggio. Tempi memorabili.
Sacchi invece era il profeta del gioco in attacco, del pressing a tutto campo. Ali veloci, centrocampisti che comprimevano gli avversari nella loro metà campo. Quando erano in palla i rossoneri di Sacchi non la facevano vedere, la palla, agli avversari anche per delle mezz’ore. Sacchi e Trapattoni sono espressione della filosofia meneghina. Milano è comunque la città in cui non si sta mai con le mani in mano. Nessuno dei due lo faceva. Anzi. Le loro due anime hanno costituito una filosofia, un senso di appartenenza che ha fatto crescere l’intera comunità.
Potremmo dire che Expo ha rappresentato per esempio il contropiede tipico di Trapattoni. In difesa per diversi anni, in attesa di vederla compiutamente realizzata, quando poi è partita in contropiede con una ripartenza micidiale ha portato a casa una crescita che arriva fino ai nostri giorni.
La Milano di oggi, laboriosa ed in pieno sviluppo urbanistico e culturale, rappresenta più da vicino quel pressing eretico che fu di Sacchi che volle, fortissimamente volle, una squadra votata al sacrificio dell’attacco; di una razionale costruzione di gioco che sfiorasse i limiti della tracotanza, della volontà di affermare un’idea. È la Milano di oggi: tra Area C e B, con quell’ idea di fermare l’inquinamento e che si slancia verso il cielo nella sua avveniristica concezione urbanistica. Sacchi e Trapattoni sono il paradigma della Milano Positiva. Si giochi in attacco o in difesa, alla fine vince la convinzione di potercela fare.