Iocisonoetu, razzismo: chiudiamo le curve non gli stadi.
Un agguato a due chilometri dallo stadio, prima. Ululati e fischi contro il difensore senegalese Madou Koulibaly, poi. A San Siro nella penultima partita dell’anno tra Inter e Napoli è andato in onda lo stesso penoso spettacolo che di sé offre il calcio italiano su scala mondiale. Iocisonoetu non è esente dalla passione viva per il calcio. Come tutti, segue lo spettacolo più bello del mondo. In quanto realtà sociale che si occupa di promuovere la convivenza tra persone di cultura e religioni diverse, il tema ci appartiene. Il tema del razzismo in particolare ci vede protagonisti: è una lotta condotta giorno dopo giorno. Il caso del difensore napoletano ha immediatamente prodotto i suoi effetti. Le prime pagine dei giornali sono piene. Le televisioni anche. La consueta retorica, s’è affacciata anch’essa. L’evidenza empirica di uno stadio che ulula contro Koulibaly sempre dalla stessa parte dello stadio, ovvero la curva. Ovvero sempre da quello spicchio in cui non solo soggiornano ma governano senza controllo e fuori legge, gli Ultras. Ciò che ha indotto il giudice sportivo a chiudere tutto lo stadio per le prossime due partite. In questo modo si fa vincere proprio la logica Ultras. Tutti colpevoli, nessun colpevole. Pagano anche quelli che sono soltanto andati a godersi uno spettacolo, pagandolo anche profumatamente. E che hanno pagato anche per le prossime due partite che non potranno vedere. Non si fanno pagare i danni a chi li ha provocati. Non si produce un effetto di individuazione della responsabilità verso quanti sono colpevoli. Non si colpiscono coloro che hanno avuto la soffiata ( da chi, sarà la magistratura ad individuarlo speriamo) per bloccare i pullman dei tifosi napoletani. Si colpisce nel mucchio. Le curve sono diventate qualcosa di molto diverso rispetto a quaranta anni fa. Come ha dimostrato la puntata di Report di Raitre sui rapporti tra ndrangheta e curve. Sarebbe ora di avere il coraggio della responsabilità. Chiudiamo le curve, tutte le curve. Poi obblighiamo i loro rappresentanti a lavorare per almeno 300 ore come volontari in un reparto di oncologia. Facciamo loro sentire cos’è il dolore. E il senso della vita. Vedrete che a fare a cazzotti e a rischiare di morire non c’andranno più. Alcuni di loro parlano di “sangue e onore”. Più appropriata per loro sarebbe la definizione di sangue e m…. In ogni caso restituiamo loro la possibilità di un riscatto morale. Portiamoli direttamente a toccare la morte da vicino. A sentire l’agonia di un essere umano che spira. Questa gente gioca a fare la guerra senza sapere cosa significhi. Presto o tardi dovranno fare i conti anche loro con la morte. Facciamogliela sentire portandoli dentro una corsia d’ospedale. Questi ragazzi, spesso uomini sopra i 50 anni, scopriranno allora cos’è l’onore. Per il momento fanno soltanto pena. È bene che lo Stato la smetta di fare la Grande Madre che li protegge. È ora di fare crescere queste malate nullità figlie del benessere. Che comincino a capire cosa significa avere dignità: a partire dal rispetto dell’altro da sé.